«E tra tutti quelli che hanno preso parte alla visita nello stabilimento, una volta visto il regalo solo la giornalista del Sole 24 Ore lo ha rifiutato, dicendo che non poteva proprio accettare».
L’aneddoto raccontatomi nei giorni scorsi da un amico (per la cronaca: il regalo era un elettrodomestico prodotto dalla ditta che ha organizzato il viaggio, dal valore commerciale di circa 900 euro), mi offre l’occasione per parlare dei cosiddetti viaggi stampa o press tour, che sono uno dei sei strumenti principali che ogni ufficio stampa ha a disposizione nel suo rapporto con i giornalisti. Nell’ordine, e con la consapevolezza o di non averne ancora parlato o di aver fatto solo degli accenni certo non esaustivi in questo mio “rarefatto” blog: comunicati stampa, conferenze stampa, dichiarazioni ufficiali, interviste, press briefing e viaggi stampa.
Diciamo subito che i viaggi stampa sono un’occasione offerta ai giornalisti per vedere da vicino e approfondire le peculiarità di un territorio o di una data destinazione, se stiamo parlando di turismo; il “dietro le quinte”, nel caso di eventi e fatti sportivi; i processi industriali, i nuovi manufatti o particolari linee di produzione, nel caso di aziende. E chi più ne ha, più ne metta.
Ogni viaggio stampa può essere utile. Basta rispettare la regola aurea che ho già espresso parlando di conferenze stampa: si organizza solo per cose davvero, davvero, davvero interessanti.
Del resto, se non ci fosse qualcosa di davvero, davvero, davvero interessante da raccontare ai lettori, perché mai il giornalista dovrebbe prendere parte al viaggio stampa? Mi sembra lapalissiano.
Ma, come sempre, ci si scontra con l’imperante visione di markettari che si travestono da uffici comunicazione e che hanno bisogno di mostrare al capo di turno che sono in grado di portargli in casa i giornalisti. E siccome il più delle volte i viaggi stampa tutto sono tranne che davvero interessanti, ecco che si infarcisce la compagnia di “penne” amiche, di blogger e influencer.
Sia chiaro, non si pensi che non comprenda la difficile posizione di collaboratori sottopagati e (spesso) sfruttati, e neppure che non abbia ben presente le ragioni e le scelte professionali di blogger e influencer. Basta avere chiaro che non siamo più nel campo dell’ufficio stampa ma in quello degli investimenti pubblicitari.
E, normalmente, chi organizza questi sedicenti viaggi stampa lo sa bene, tanto che quando si trova di fronte al giornalista che rifiuta il regalo comincia a sudare, perché è convinto che scriverà male di lui, del proprio cliente o dell’iniziativa in sé.
Nella realtà non è (per forza) così. E anche se i markettari proprio non lo capiscono, la spiegazione è molto più semplice ed è chiarita dall’articolo 2 del Testo unico dei doveri del giornalista, che non ha certo bisogno di ulteriori commenti: «Il giornalista non accetta privilegi, favori, incarichi, premi sotto qualsiasi forma (pagamenti, rimborsi spese, elargizioni, regali, vacanze e viaggi gratuiti) che possano condizionare la sua autonomia e la sua credibilità».
Poi, certo, la vita non è fatta di bianco e nero ma di infinite sfumature di grigio. E così, anche chi sembra impostare la propria offerta nel giusto modo, alla fine proprio non ce la fa ad uscire dalla logica del do ut des.
Marino hai perfettamente….. ragione….. ciao