La piccola impresa deve comunicare in tempi di crisi

Video estratto dal dibattito on line di Confartigianato Imprese Varese del 17 aprile 2020

In crisi da Covid-19, le piccole imprese che sono ferme, se non comunicano quello che stanno facendo, le prospettive di ripartenza, le modalità con cui si stanno attrezzando e organizzando, rischiano di restare alla mercé delle voci incontrollate che potrebbero girare su di loro. E si incamminano sulla strada che le porterà a diventare un’altra vittima del coronavirus.

Nella crisi, occhio a tono di voce e contenuti. Rivedendo i programmati

Video estratto dal dibattito on line di Confartigianato Imprese Varese del 17 aprile 2020

Nei momenti di crisi, anche chi ha stabilito protocolli precisi a volte non è reattivo nel modo giusto. Magari semplicemente perché si dimentica di fermare (o cambiare) la comunicazione programmata prima della crisi scoppiasse.

I segreti per comunicare in tempo di crisi? Tono di voce e contenuti. Che devono essere empatici e allineati allo scenario del momento.

In comunicazione interna le scelte vanno sempre spiegate

Video estratto dal dibattito on line di Confartigianato Imprese Varese del 17 aprile 2020

La domanda che mi sono sentito fare più spesso in questi tempi di comunicazione di crisi da coronavirus è: «ma devo proprio spiegare il perché delle mie scelte? …sai, sono questioni delicate!»

La risposta è assolutamente sì. Specie in comunicazione interna.

Ai propri dipendenti le scelte vanno sempre spiegate: senza fare promesse, ma senza lasciare dei vuoti che possono essere mal interpretati o generare errate aspettative.

Nei momenti di crisi si parla all’interno e all’esterno

Video estratto dal dibattito on line di Confartigianato Imprese Varese del 17 aprile 2020

Nei momenti di crisi vanno curati sia dalla comunicazione interna che esterna.

Verso l’interno, immediatamente, vanno socializzate e spiegate decisioni e scelte necessarie, preparandosi per rispondere a tutte le domande, anche quelle più difficili, che inevitabilmente arriveranno. E anche a gestire le possibilità di tensione.

La comunicazione verso l’esterno deve essere contestuale a quella interna, per evitare che le notizie siano veicolate dal passaparola, deve essere coerente, per non perderne il controllo, e deve essere chiara ed esaustiva. In altre parole si trovano notizie e dati di fatto, non commenti. Questi saranno sempre e solo “in aggiunta”. E prima sarà data ai media, poi pubblicata sul sito e canali social.

Nei momenti di crisi si deve comunicare. Senza paura

Sono passati undici mesi dal mio ultimo post. Un po’ me ne vergogno. Ma così è e non cerco scuse. Perciò, barando un po’ ?, da oggi inizio la condivisione di sette contributi video che ho estratto da un dibattito on line a cui sono stato invitato da Confartigianato Imprese Varese lo scorso 17 aprile.

La comunicazione è sempre importante e nei momenti di crisi è determinante. Certo, normalmente si ha paura di comunicare durante una crisi, soprattutto perché si teme di farsi vedere vulnerabili o di esporsi inutilmente. Invece la strada giusta è quella di socializzare le difficoltà e condividere con trasparenza le soluzioni adottate. Specie in questo momento, per non trasformare la propria azienda in un’altra vittima del coronavirus.

 

Prevenire costa meno che curare. Si sa, ma non si fa

Non voglio perdermi in un post lapalissiano, così non commento quanto ho titolato. Perché tu che mi leggi sai benissimo che così è e che di esempi ne puoi trovare a bizzeffe nel vissuto quotidiano. E sai anche quanto spesso sia fastidioso trattenersi dal fare una cosa (che senso ha stare fermo al semaforo rosso se l’altra strada è deserta? Ha senso, ha senso!) o, al contrario, quanta fatica ci si risparmia a decidere di non prevenire (perché devo camminare se piove e tira vento? Perché 10 mila passi al giorno)

Se lasci andare sul palco un tuo cliente senza prepararlo e poi fa una figuraccia, la colpa è tua. Non ci sono alibi. Se gli lasci fare quello che sai che è sbagliato: la colpa è solo tua. E se abdichi al ruolo, perché non vuoi litigare, non stai facendo il tuo lavoro. Certo: prepararsi per salire su un palco non è divertente, richiede tempo, sovente fa sentire sciocchi e, soprattutto, il cliente pensa sempre che non lo faccia nessuno. Ovviamente non è così. Ma la fatica e il fastidio del prevenire (e un po’ di paura del palco) spinge a rimandare la preparazione e produce una profezia di fallimento che troppe volte si avvera. E poi? Quanto costa ricostruire l’immagine? Recuperare la situazione? … ammesso che sia possibile.

Se sai che esiste la remota possibilità dell’avverarsi di una crisi, anche solo reputazionale, devi obbligare il tuo cliente a prepararsi. Lo sai che ti scanserà e cercherà di sottrarsi, perché lo stai costringendo ad affrontare argomenti fastidiosi, magari scottanti o semplicemente imbarazzanti, ad andare oltre l’apparenza dei rapporti formali, a uscire dalla zona di confort rappresentata dalla convinzione che tanto quella cosa non accadrà mai e che, se anche accadesse, lui non sarà mai chiamato a doverne parlare o a doverla commentare, specie con giornalisti impiccioni e ficcanaso. Ovviamente non è così e, ancora una volta, la fatica e il fastidio del prevenire (e un po’ di timore che «se ci penso poi accade davvero») spinge ad accantonare la preparazione.

Tutta questa “tirata” per dire cosa? Semplicemente che un comunicatore, soprattutto quando si trova davanti ad una situazione di potenziale -ancorché remota- crisi, deve assumersi lo scomodo compito del grillo parlante. Arrivando finanche a litigare con il cliente per fare il proprio mestiere. Altrimenti non sta facendo il suo lavoro.

Facile? Neanche un po’.

Necessario? A qualunque costo.